Quando si parla di paradisi fiscali, si pensa di parlare di qualcosa di quasi astratto, di isole e luoghi esotici sperduti chissà dove, lontanissimi da noi e dalla nostra quotidianità.
La realtà è leggermente diversa, infatti tutti i giorni, in maniera indiretta, non solo veniamo a contatto con i paradisi fiscali, ma anche partecipiamo nostro malgrado al flusso di denaro che transita verso questi luoghi. Da quando ci svegliamo la mattina, e compiamo dei gesti ormai abituali, come accendere uno smartphone, fino a quando andiamo a dormire, ogni momento della nostra giornata sono un piccolo contributo alla ricchezza dei paradisi fiscali.
I nostri soldi prendono la strada di luoghi lontani, mischiandosi con quelli dei veri evasori fiscali. Volano verso paesi che, pensiamo, non hanno nulla a che fare con noi. Ma ci sbagliamo.
Un rapporto stilato dall’organizzazione non governativa Citizen for Tax Justice (Ctj) e da U.S. Pirg Educational Fund, dal titolo Offshore shell games 2015, rivela quanto le grandi multinazionali americane siano presenti nelle giurisdizioni segrete di tutto il mondo. Secondo gli esperti delle due organizzazioni le società Usa che fanno parte della lista Fortune 500 (la classifica che raggruppa le 500 maggiori compagnie statunitensi) hanno parcheggiato nei paradisi fiscali più di 2,1 trilioni di dollari (pari a 2.100 miliardi di dollari) per evitare di pagare circa 90 miliardi di dollari di imposte federali. Delle 500 società, ben 358 possiedono in totale 7.622 filiali in paradisi fiscali dove non hanno sedi operative o di produzione e dunque non avrebbero nessun motivo di essere presenti.
Non dimentichiamo un tubetto di dentifricio AZ, una confezione di rasoi Gillette, uno shampoo Pantene, una confezione di pile Duracell e un tubo di patatine Pringles. Tutti brands appartenenti alla Procter & Gamble, multinazionale americana , che detiene al di fuori degli Stati Uniti circa 45 miliardi di dollari di profitti e possiede filiali a Panama, Singapore, Svizzera, Olanda, Lussemburgo, Hong Kong, Costa Rica e Irlanda.
Per effettuare pagamenti utilizziamo una carta di credito: Visa, Mastercard o American Express, tutte e tre ci fanno sentire, a pieno titolo, parte del grande business dell’elusione fiscale che – ribadiamo- è del tutto legale. Visa ha 5 miliardi di dollari offshore e una filiale a Singapore; Mastercard ha 3,3 miliardi all’estero e filiali in Olanda e Singapore; American Express possiede 9,7 miliardi offshore e filiali nelle Channel Islands, Antille Olandesi, Lussemburgo e Hong Kong.
I paradisi fiscali sono entrati di prepotenza nella nostra vita, anche se noi non ce ne siamo accorti. Le giurisdizioni offshore sono parte integrante del sistema e non un anomala eccezione. Per questo non è per nulla certo che gli sforzi dei paesi del G20 e dell’Ocse per ridimensionare il fenomeno abbiano successo. Le giurisdizioni offshore, infatti, prosperano non solo grazie all’elusione fiscale ma anche e soprattutto all’evasione fiscale. Si calcola ammontino a circa 32mila miliardi di dollari le ricchezze finanziarie custodite nei paradisi offshore. Interessi enormi che hanno bisogno dei paradisi fiscali e che cercano sempre nuovi canali di sbocco. «I soldi sono come l’acqua – ha affermato l’ex ministro delle Finanze svizzero, Hans Rudolf Mertz -: trovano sempre una fessura in cui scorrere. Ecco perché l’evasione fiscale continuerà a esistere in futuro».